È un sentimento di paura e di agitazione, vivi come se ti sentissi minacciato, nei casi più seri è depressione o rabbia. Così si manifesta l’ecoansia, un disturbo diagnosticato a partire dal 2019 e sempre più diffuso, spiega Matteo Innocenti, 32 anni, psichiatra, psicoterapeuta, ambasciatore del Patto europeo sul clima e autore di Ecoansia (Erickson).
Quante persone ne soffrono, oggi?
Il 79,9 per cento degli italiani ha paura del cambiamento climatico, in particolare dell’aumento sopra 1,5 gradi della temperatura della Terra (dati Censis-Assogestioni). A livello globale le ricerche stimano che oltre il 45 per cento dei giovani abbia preoccupazioni di questo tipo che influenzano negativamente la loro vita.
Chi sono dunque i soggetti più a rischio?
I giovani under 35, gli attivisti, perché più sensibili alle tematiche ambientali e le donne.
Perché le donne?
Nei Paesi con svantaggio economico, spesso vivono confinate nelle loro case e ricevono con difficoltà i messaggi di allarme; le responsabilità verso bambini e anziani impediscono o rallentano la loro fuga. E quindi possono sviluppare forme di ansie da stress post traumatico, come è successo dopo lo tsunami del 2004.
Esiste un’ecoansia positiva?
Sì, certo, è quella che ti spinge ad avere una maggior consapevolezza dei tuoi comportamenti, che per esempio ti fa cambiare la dieta rinunciando alla carne e al pesce, ti sollecita sulla raccolta differenziata, ti fa usare la bicicletta al posto dell’automobile. È negativa quando diventa eccessiva e ti fa stare male.
E allora cosa succede?
Le persone perdono ogni speranza nell’efficacia e nell’utilità dei loro comportamenti virtuosi, oppure al contrario diventano negazionisti per bloccare la negatività che li circonda.
La pandemia ha peggiorato le cose?
Sì, perché ha spostato l’attenzione mediatica, senza risolvere i problemi del clima. Ha isolato le persone e impedito il contatto con la natura.
Come ci si cura?
Compiendo azioni positive per l’ambiente, sentendosi parte di una rete che promuove azioni corali, aumentando il proprio senso di efficacia rispetto allo sconforto generale.
Mi scusi dottore, ma lei soffre di ecoansia?
«Sì. Ho fondato l’associazione italiana ansia da cambiamento climatico (Aiacc) e il nostro slogan è proprio “ne soffro”.
E come si cura?
Sensibilizzo i giovani, cerco una connessione con la natura, proprio come mi aveva insegnato mio nonno Anselmo che mi portava a camminare nei boschi, a cui ho dedicato il libro.