Nel giro di una manciata di giorni abbiamo commentato gli incendi delle isole greche di Rodi e Corfù, che hanno portato a decine di migliaia di persone evacuate, il nubifragio che nella notte del 25 luglio ha falciato Milano e, di nuovo, il rogo che ha colpito l'aeroporto di Palermo, dove il termometro è arrivato a 47 gradi. La sera prima eravamo lì ad immaginarci quanto debba essere stato terrorizzante, per quelle persone, dover scappare in barca da un luogo che stava letteralmente andando a fuoco (per non dire di chi, su quella terra, ci vive e ci deve restare), e la mattina dopo ci svegliamo pieni di messaggi di amici sconvolti, che dalle finestre di casa hanno visto alberi sradicati dalla tempesta di vento e acqua. Tra il 15 e il 17 maggio, anche se sembrano passati anni per la scarsissima tenuta che ormai hanno le notizie nella società del refresh continuo, ci sono state le alluvioni in Romagna, il 6 giugno New York si era risvegliata avvolta da un nuvola arancione densa e onirica, che era un misto di smog, polveri sottili e altre sostanze in gran parte provenienti dal Canada, dilaniato dagli incendi. Come stiamo reagendo a tutto questo, è una domanda bella grossa. Perché è il guaio ad essere bello grosso, e la natura umana tendenzialmente porta a rifuggire un confronto diretto con qualcosa che è così tanto più grande di essa, e di trovare, invece, conforto nel proprio giardinetto.

Parliamo del meteo per non parlare della catastrofe ambientale. Se qui dove vivo non si prospettano disastri imminenti, posso rimandare a domani il pensiero della terra che sta morendo. Eppure, negazionisti del cambiamento climatico a parte (ma chissà se ormai pure loro stanno iniziando a dubitare), il nodo in gola lo abbiamo, la paura anche se ricacciata giù a forza, sta crescendo, ma la cosa che angoscia maggiormente è che chi decide, cioè, detta in modo grezzo, chi governa e chi ha il potere economico, decide ancora, come sempre, per il profitto. Eppure gli scienziati ce lo stanno ripetendo: dopo un viaggio di 10.000 anni, la civiltà umana ha raggiunto un bivio climatico e ciò che faremo nel futuro prossimo determinerà il nostro destino per millenni. Il rapporto storico pubblicato lunedì del Panel on Climate Change (IPCC), stillato dai maggiori esperti climatici del mondo, chiarisce qual è la posta in gioco: tutto. C'è una finestra di opportunità che si sta rapidamente chiudendo per garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti.

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Finora gli effetti del riscaldamento del clima si sono verificati prima e sono stati peggiori di quanto previsto da molti scienziati (almeno in pubblico). Ciò ha ovviamente delle implicazioni politiche. Il mondo ha concordato di ridurre le emissioni a zero entro il 2050, ma il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, afferma che i paesi ricchi dovrebbero mirare a ridurre il calendario fino al 2040. Ma a che serve una politica di zero emissioni se si basa in parte su delle piantagioni di alberi che potrebbero avvizzire a causa della siccità o andare completamente a fuoco in un incendio? I roghi che hanno devastato nel 2021 la Sardegna potranno trovare rimedio ai danni enormi subiti dalla regione solo fra 15 anni, quando si sarà riusciti a reintegrare gli alberi distrutti e a ripopolare la zona.
Le scelte e le azioni attuate in questo decennio (vale a dire entro il 2030) avranno impatti ora e per migliaia di anni. La crisi climatica sta già portando via vite e mezzi di sussistenza in tutto il mondo e il rapporto del Panel on Climate Change afferma che gli effetti futuri saranno persino peggiori di quanto si pensasse: "Molti rischi legati al clima sono più alti di quanto (precedentemente) valutato. Le emissioni continue influenzeranno ulteriormente tutti i principali componenti del sistema climatico e molti cambiamenti saranno irreversibili su scale temporali che vanno dal centenario fino al millennio”, hanno scritto gli scienziati. L'obiettivo di 1,5°C sembra praticamente fuori portata, afferma l'IPCC: "Nel breve termine, è più probabile che il riscaldamento globale raggiunga 1,5°C anche in uno scenario di emissioni molto basse". Sarà quindi necessario un enorme aumento del lavoro messo in campo per proteggere le persone. Ad esempio, "eventi estremi a livello del mare" (come inondazioni, tsunami ecc.) previsti oggi una volta al secolo, colpiranno almeno una volta all'anno entro il 2100 in circa la metà delle località monitorate.

Ciò che sta accadendo in tutto il mondo in questo momento è del tutto coerente con ciò che gli scienziati si aspettavano. Nessuno, è ovvio, avrebbe voluto avere ragione su questo. Ma la avevano, eppure quasi tutti sono sbalorditi dalla ferocia degli eventi che stiamo attualmente vivendo. A metà degli anni '90 sapevamo che dietro le proiezioni dei nostri modelli climatici si nascondevano dei mostri: mostruose ondate di calore, precipitazioni estreme catastrofiche e inondazioni, incendi su scala subcontinentale, rapido collasso della calotta glaciale che ha innalzato il livello del mare di metri nel giro di un secolo. Sapevamo, per esempio, che la Grande Barriera Corallina australiana potrebbe essere una delle prime vittime del riscaldamento globale incontrollato. Ma a guidare tutto questo è ed è stata l'industria dei combustibili fossili. A renderlo possibile sono i leader politici che non vogliono tenere sotto controllo questo settore e che promuovono politiche come la compensazione e la massiccia espansione del gas che semplicemente consentono a questo settore di continuare a prosperare e ad ammazzare il pianeta. Se vi suonano parole forti, ripensate all'elenco di poco sopra sui fatti degli ultimi due mesi e mezzo. Non so di quanti altri avvertimenti il ​​mondo abbia bisogno. È come se la razza umana avesse ricevuto una diagnosi medica terminale e sapesse che esiste una cura, ma avesse consapevolmente deciso di non salvarsi. Ma quelli di noi che capiscono e a cui importa, devono solo continuare a provare a fare la loro parte. Divulgare, informare, cambiare abitudini (a partire da quelle alimentari, suvvia). Dopo tutto, quale altra scelta abbiamo?