Occhi neri accoglienti e un velo di bellezza malinconica, Zar Amir Ebrahimi, 42 anni, sarà nella Giuria internazionale di Locarno e presenta in Piazza Grande il suo film Shayda, prodotto da Cate Blanchett e distribuito in Italia da WANTED CINEMA, che l’accompagnerà nel Ticino. Elle ha chiacchierato con lei durante lo scorso Sundance, dove il film veniva lanciato: l’attrice è fuggita dall’Iran nel 2008, dopo uno scandalo che l’ha messa nel mirino della famigerata polizia morale. Da allora vive esule a Parigi, ha ottenuto la cittadinanza francese e il Festival di Cannes, nel 2022, l’ha incoronata miglior attrice per il perturbante Holy Spider, del regista iraniano-danese Ali Abbasi.
La drammatica vicenda personale di Zahara, detta Zar, è emblematica di una moltitudine di destini femminili a cui resta fedele anche nel film di Noora Niasari, la vicenda di una donna iraniana in Australia, rifugiata con la figlia in una casa famiglia per sfuggire alla violenza del marito. Storie di finzione, ma quella di Zar è una vicenda vera, molto più vera di qualsiasi film.
A Teheran era popolare per le fiction girate con il capo coperto dallo hijab, come è arrivata ai red carpet internazionali?
È una vicenda lunga, difficile, almeno fino alla Palma d’oro. Al film Holy Spider, che è girato in Giordania e in Iran è proibito, sono arrivata come casting director. Da quando vivo a Parigi faccio la consulente per chi deve girare su temi iraniani. L’attrice prescelta da Abbasi, all’ultimo momento, ha rinunciato, spaventata da alcune sequenze dove appare senza velo. Ali ha offerto a me la parte. È stato un vero miracolo.
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Cosa l’aveva fatta scappare dall’Iran?
Un video intimo girato con il mio fidanzato ha iniziato a circolare in rete, lo aveva rubato un suo amico dal nostro Pc. Ero già abbastanza popolare sull’emittente nazionale e lo scandalo è stato enorme, mi hanno proibito di lavorare per dieci anni. Sono stata arrestata e interrogata più volte, nel mio futuro c’erano una pena detentiva certa e centinaia di frustate. Sono fuggita il giorno in cui mi sarei dovuta presentare in tribunale per la sentenza definitiva. Nessuno ha indagato sul ragazzo, un attore assai noto, che ha trafugato quell’immagine.
Gli eventi avversi non l’hanno fermata.
In realtà, dopo l’arrivo a Parigi, ho sofferto di una schizofrenia post-traumatica comune a tanti esuli. È durata a lungo e la racconto ora nel mio primo film da regista, Honor of Persia, che sto finendo di scrivere, mentre abbiamo già avviato la pre-poduzione.
Come si aiuta la rivoluzione in corso?
È importante tenere viva l’attenzione, i governi occidentali devono riconoscere di avere una responsabilità, devono smettere di fare accordi commerciali e diplomatici con l’Iran. Si parla di diritti basilari delle donne che ogni giorno vengono calpestati. Il premio a Cannes mi ha dato una voce pubblica più forte e la metto a servizio della rivoluzione. La mia generazione è cresciuta durante la guerra civile, i nostri genitori allora pensavano solo a proteggerci, noi abbiamo cresciuto i nostri figli in modo più aperto e ora sono loro i ragazzi coraggiosi che in questi mesi si uniscono alle proteste delle donne. Vedo un futuro migliore