Ho vissuto molte stagioni del Locarno Film Festival, persino lavorando dietro le quinte, non solo da giornalista, e conosco il fascino irripetibile della Piazza Grande, dove ho visto centinaia di spettatori arrivare anche con la propria sedia e resistere ai rovesci di pioggia agostani, imperturbabili.

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Ne vale la pena, perché l’evento ticinese, oggi diretto magistralmente da Giona A. Nazzaro, con la presidenza di Marco Solari, è un appuntamento internazionale al crocevia di variegate passioni: la cinefilia pura ed estrema e insieme una voglia di condivisione che alterna volentieri i film d’autore ai blockbuster, l’approccio antidivistico, che però concede omaggi a star e grandissimi autori purché sappiano conciliare glamour e inclusione, innovazione e memoria, sguardi sempre appuntiti sul mondo e sulla società. Lo dimostrano le grandi presenze di quest’anno, Cate Blanchett produttrice, l’attrice iraniana Zar Amir Ebrahimi, Harmony Korine e Pietro Scalia, montatore da Oscar, la forte compagine italiana con Edoardo Leo regista, due autrici emergenti come Laura Luchetti e Annarita Zambrano, il ribelle Franco Maresco e ancora Radu Jude, Lav Diaz, Tsai Ming-liang e, sorpresa!, il pop della retrospettiva sul cinema messicano.

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Tutto è possibile, senza confini, a Locarno, dove si corre tra le sale incontrando folle di ragazzi arrivati da ogni punto d’Europa, zainetto e sistemazioni precarie, felici di una passione inalterata e curiosa. Non sono previsti il tacco 12 o l’eleganza estrema, piuttosto l’intelligenza di lasciarsi andare allo stupore, sospesi tra l’estremo poetico-politico di Ken Loach e lo splendore glamour di Cate Blanchett. E con la bella sorpresa, ma non dovrebbe fare più notizia, di una forte presenza femminile, un altro sguardo per un festival diverso e bellissimo.